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Channel: accordo serbia kosovo – Pagina 29 – eurasia-rivista.org
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IL LEVIATANO – RASSEGNA STAMPA ATLANTICA (12-18 maggio 2014)

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L’ultima invasione della Russia. Come Putin ha vinto in Crimea e perso in Ucraina
(Analisi e commento all’articolo di Jeffrey Mankoff Russia’s Latest Land Grab su “Foreign Affairs” maggio/giugno 2014)

La situazione delineatasi in Ucraina rappresenta, a detta dell’autore, un significativo passo avanti della strategia di confronto duro della Russia nei confronti dell’Occidente: non ci si è limitati a fomentare disordini per delegittimare le istituzioni interne di una regione (come pure fatto nella Transnistria, in Ossezia e nel Nagorno Karabakh) ma sono state inviate, in modo camuffato, truppe russe che sostenessero un’iniziativa referendaria popolare grazie alla quale legittimare l’annessione di un intero territorio alla stessa Federazione Russa. Non solo, ma capovolgendo l’impostazione sovietica di ritagliare spazi statali a singole etnie separate e controllate attraverso un pesante apparato burocratico e militare, si è addotto qui il pretesto di tutelare i cittadini di etnia russa – e i russofoni – da possibili ritorsioni provenienti da un governo, quale quello governo ucraino, non legittimato. Alla base di questa impostazione, vi sarebbe quella mentalità imperiale tipicamente russa che considera i territori limitrofi al suo come “giardino di casa” in cui non ammettere intrusioni, ricorrendo ad ogni mezzo (ricatti energetici, fomentazione di rivolte) pur di veder riconosciuta la propria influenza. Tuttavia, secondo l’autore, tale impostazione arrecherà danni considerevoli alla Russia non solo in termini economici ma anche di immagine, spingendo gli stessi paesi definiti quali strategici dalla Russia per realizzare il proprio disegno eurasista, a richiedere l’aiuto dell’Occidente per uscire dalla morsa.
** Questa l’idea dell’articolo che mi dà modo di chiarire la mia posizione e le finalità della rubrica. E’ ovvio e scontato che qui non si vogliono sostenere le tesi statunitensi. Si vogliono invece portare a conoscenza dei lettori gli argomenti adoperati dalle più prestigiose riviste di geopolitica nordamericane in merito ad un determinato problema, nella fattispecie i rapporti con la Russia. L’uso eventuale di terminologia inglese è giustificato per evidenziare il concetto che l’autore ha voluto esprimere, oltreché per dimostrare che l’articolo è stato letto sul serio.
Riguardo all’articolo, siamo di fronte a pura propaganda. Si omette di dire che la Russia si è trovata di fronte ad un allargamento dell’Unione Europea dietro il quale interi paesi sono stati subito occupati da basi NATO: davvero è arroganza poter pensare che un leader come Putin, a capo di un immenso paese come la Russia, possa salutare una simile iniziativa come una manifestazione distensiva di amicizia. In secondo luogo, la tesi per cui la Russia uscirà perdente dal confronto, assomiglia ad un mantra più che ad una teoria sostenuta da solide basi: è sotto gli occhi di tutti chi, ad oggi, abbia guadagnato prestigio e credibilità ad esempio in Medio Oriente; così come la proposta di Lavrov di trasformare l’Ucraina in uno stato federale, tesi fino a qualche mese fa derisa ed oggi presentata alla pubblica opinione occidentale come “genialità” dell’OCSE per uscire dalla crisi. Infine, è vero che l’Unione Europea di fronte alla Russia non sa come porsi, ma qui, accanto alla presunzione di avere a che fare con un paese ormai ridotto allo stremo delle forze, gioca pesantemente il fatto che l’Unione Europea è profondamente divisa, incapace di avere una propria autonoma politica estera e di difesa: se a questo si aggiunge la politica miope di austerità fino ad oggi attuata – e molto probabilmente destinata a durare se dovesse prevalere alle elezioni del 25 maggio la Grande Coalizione popolare socialdemocratica- saranno sicuramente più forti i motivi di ripensamento circa la permanenza in un’Europa siffatta che gli interessi capaci di spingere ad un’adesione piena alla politica delle sanzioni contro la Russia intrapresa, con risultati ad oggi ridicoli, dall’Amministrazione statunitense.

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